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Los Angeles 1032
La richiesta di Los Angeles come sede olimpica era stata presentata ancora nella sessione olimpica di Anversa del 1920; ma nonostante la brillante esposizione e le garanzie date da William Garland (futuro membro CIO), l’attribuzione avviene nel 1923, ma solamente per il 1932. Commenterà Coubertin: “Los Angeles oltre all’ardore ed allo zelo del suo avvocato (nostro collega Garland) possedeva tre carte vincenti: per primo lo stato d’avanzamento dei suoi preparativi olimpici, cosa che costituisce una garanzia di buona riuscita; in seguito la sua situazione privilegiata dal punto di vista politico sociale; infine l’ora era veramente suonata per testimoniare alla giovinezza sportiva degli Stati Uniti qualche riconoscenza per lo sforzo fatto dopo Atene e per la partecipazione sempre brillante e numerosa ai giochi passati”. Ma la scelta di Los Angeles entusiasma poco le
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organizzazioni americane di sport amatoriali poiché la culla dello sport negli Stati Uniti si trova ancora totalmente nell’Est del Paese.
I responsabili sportivi dell’Est si sentono ignorati e temendo che i loro concittadini dell’ovest (“provinciali inesperti” così definiti da Brundage futuro presidente del CIO dal 1952 al 1972) non siano in grado di organizzare la manifestazione si chiedono se non debbano costituire loro stessi il Comitato Organizzatore.
Ma le cose proseguono positivamente anche se in realtà il Comitato definitivo viene creato solo nel febbraio del 1928 e presieduto da Garland (che comunque si era sempre interessato all’organizzazione come presidente della Community Developement Association, storica associazione che si occupava di tutti i problemi sportivi e che aveva anche realizzato il “Memorial Coliseum”).
Più che sui lavori preparatori il CIO e il Comitato Organizzatore si concentrano sulle difficoltà per raggiungere il luogo delle competizioni soprattutto dai concorrenti europei che dovevano attraversare l’oceano e l’America.
E c’è anche un timido tentativo di spostare i Giochi a Washington nonchéla proposta per far passare un transatlantico per tutti i paesi partecipanti a raccogliere gli atleti, raggiungendo poi la California attraverso il canale di Panama. Per abbattere i costi ne nasce invece una novità (a parte i timidi tentativi similari del 1906 e del 1924) che sarà imperativa per i futuri organizzatori: la costruzione di un villaggio per ospitare gli atleti.
E così per la prima volta, a Baldwin Hills con vista sul Pacifico, 700 villette, stile coloniale, ospitano ciascuna 4 atleti maschi mentre le donne sono alloggiate nel miglior albergo di Los Angeles; per loro il primo villaggio sarà a Berlino. Tra l’altro, a dimostrazione di buona volontà il governo americano sospende il proibizionismo per consentire agli atleti (soprattutto francesi ed italiani) di importare vino ed alcool.
Si cerca di definire il programma dei Giochi una volta per sempre: durata della manifestazione non superiore ai 16 giorni, ammessi tre atleti per disciplina e per nazione, soppressione delle competizioni femminili; e mentre le prime istanze furono rigorosamente rispettate, per l’ultima si arrivò ad un compromesso che comportò una drastica riduzione delle gare nel settore femminile.
Un argomento sempre più discusso in seno al CIO riguardava la definizione di “amatore”. Non arrivando a regole ben precise viene escluso il calcio e viene squalificato a vita, oltre al mezzofondista francese Jules Landoumegue, anche Paavo Nurmi il finlandese volante; questi puntava alla maratona dopo essere stato grande protagonista delle ultime due edizioni olimpiche nelle gare di fondo. La sua assenza porta un grave danno agli organizzatori in quanto il suo nome aveva sempre attirato moltissimo pubblico.
E così oltre 100.000 persone assistono all’apertura dei Giochi nonostante le restrizioni finanziarie dovute alla Grande Depressione seguita al crollo in borsa del “venerdì nero” dell’ ottobre 1929; crisi che si era fatta sentire anche sul numero dei partecipanti - 1408 (di cui 127 donne) in rappresentanza di 37 CNO (con 117 prove in 14 sport).
E per l’Italia è una grande Olimpiade, seconda nel medagliere, dietro soltanto agli USA con ciclismo, scherma, ginnastica, canottaggio sport di eccellenza oltre all’oro di Beccali nell’atletica.Sono gare di altissimo livello e su 23 prove dell’atletica maschile vengono stabiliti 20 record, di cui molti americani, che si riscattano dalle umiliazioni di Amsterdam (solo oro nei 400 e nelle Personaleette). Anche perché gli atleti locali si erano allenati sulle piste di gara mentre gli ospiti erano arrivati affaticati dal lungo viaggio (cinque giorni di nave ed altrettanti di treno) risentendo anche del fuso orario. Vengono introdotti il cronometraggio elettrico ed il foto finish,decisivo in due gare: nei 110 ostacoli e nei 100 metri.
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Nella prima gara il bronzo va all’inglese Donald Finlay, giudicato dapprima quarto con l’americano Jack Keller terzo (con restituzione della medaglia al villaggio olimpico) e nella seconda gara la medaglia d’oro viene attribuita al negretto Eddie Tolan “(1,70 di altezza per 65 chili, soprannominato “Midnight Expresss”) sul connazionale Ralph Metcalfe per 2 centimetri e mezzo. I due si incontrano due giorni dopo nei 200m. ove Tolan fa il bis e Metcalfe
risulta addirittura terzo: ma un controllo successivo dimostra che la sua linea di partenza era posizionata rispettivamente due e tre metri più indietro di quella dei vincitori! Con molto fair-play non protesta e si tiene il terzo posto.
Gli Stati Uniti vincono tutte le medaglie dei tuffi mentre i Giapponesi si aggiudicano 9 delle 12 medaglie d’oro e argento nel nuoto (ove gli americani erano omai rimasti orfani di Weis smuller, il Tarzan passato al professionismo).
Il quattordicenne Kusmo Kitamura vince i 1500 m. stile libero, diventando il più giovane atleta ad avere guadagnato una medaglia d’oro in uno sport individuale. La leggenda dell’americana Mildren “Babe” Didrikson (autorizzata a partecipare solo a tre finali) comincia con questi Giochi. Qui, a 21 anni, vince l’oro nel giavellotto (record olimpico) e negli 80m. ostacoli (record mondiale) mentre è seconda – a parità di misura che sarà record mondiale- nel salto in alto. Atleta naturale (1,69 di altezza per 46 chilogrammi) di grande talento, poche settimane prima, ai campionati americani aveva partecipato in un pomeriggio ad otto gare vincendone cinque: 80 ostacoli, peso, giavellotto, lancio della palla, e salto in alto, arrivando quarta nel disco e rimanendo fuori dalle finali delle corse veloci. Non perché poco veloce, ma perché ormai stanca! Lo dimostra che nel ‘31 aveva fissato il nuovo record del mondo nelle 100 yarde vincendo in questi campionati, da sola, la classifica a squadre. Passata subito dopo ad altri sport professionisti – pallacanestro, softball, golf – divenne in quest’ultimo, dal ’48 al ’51, numero uno del ranking Lpga, vincendo 31 tornei, tra cui tre edizioni dell’US Open e sarà votata dall’Agenzia Associated Press “L’atleta Donna” della prima metà del secolo! Morirà a 45 anni stroncata da un tumore tra le braccia del marito, Gorge Zaharias, ex lottatore professionista.
Nei 100m. piani si impone Stanislawa Walasiewicz, americana di 21 anni di origine polacca eguagliando quattro volte (tra batterie e finale) il record del mondo, seconda anche poi a Berlino nel ’36.
Della donna però ha ben poco: mascolina, poco avvenente, pelosetta; si muove in modo ambiguo ed i sospetti che desta si mostreranno fondati quando, uccisa da un rapinatore a Cleveland, l’autopsia rivelerà che del gentil sesso non aveva proprio nulla!Ancora nello spirito del fair play, la schermitrice inglese Judy Guinness abbandona le speranze di un oro quando, segnala ai giudici la mancata attribuzione di due staccate contro di lei, da parte della sua avversaria l’austriaca Ellen Preis nell’incontro finale del fioretto individuale.
Fedele all’ideale di Coubertin, che aspirava all’armonia tra corpo e spirito, il Comitato di Los Angeles aveva organizzato anche un festival di arte e concorsi di pittura, musica e letteratura, però senza grandi risultati.
Comunque, nonostante la crisi economica che aveva attanagliato anche l’America, furono Giochi “di grandezza ineguagliabile”, per l’organizzazione rimarchevole, per l’entusiasmo degli spettatori, per i luoghi superbi delle sedi
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competitive, e, soprattutto per l’alto livello delle competizioni.
Con 36 medaglie di cui 12 di oro l’Italia si classifica, risultato storico, dietro agli atleti a stelle e strisce, merito anche di Benito Mussolini che teneva in grande considerazione lo sport. Nell’atletica un solo oro, vinto a sorpresa nei 1500 metri dal milanese Luigi Beccali che, con un ritorno entusiasmante negli ultimi 300 metri, fissa anche il nuovo record olimpico, staccando di quasi due secondi l’inglese John Cornes.E l’atleta, che è diventato simbolo di questa Olimpiade per essersi presentato sul podio con il saluto fascista, si dimostra commosso, il mattino dopo, quando la squadra italiana, allineata su due file, lo accoglie al suo risveglio, nel villaggio olimpico, al grido di “Luigi, Luigi..”. Nel ciclismo un altro grande atleta, Attilio Pavesi, riporta l’oro nei 100 chilometri su strada e grazie ai piazzamenti dei suoi compagni (secondo Segato, quarto Olmo) dona all’Italia un altro oro nella classifica a squadre. Sia Beccali che Pavesi emigreranno all’estero: il primo come esportatore di vini negli USA il secondo invece farà perdere le sue tracce in Argentina. Dopo Anversa, Parigi, Amsterdam, ancora oro nell’inseguimento a squadre con Nino Borsari, Marco Cimatti, Albero Ghilardi e Paolo Pedretti. Nella ginnastica invece è il riminese Romeo Neri che oltre a due titoli individuali trascina anche la squadra al massimo degli allori. Anche la scherma, come sempre, non tradisce e riporta, sotto la guida di Nedo Nadi, ben otto medaglie di cui due di oro. Anche dal tiro a segno (oro con Renzo Morigi), dalla lotta (oro con Giovanni Gozzi), dal pugilato, dal tiro a segno oltre che dal canottaggio, arrivano altre medaglie seppure meno pregiate. In quest’ultima specialità sfugge l’oro per pochi centimetri nell’ “quattro con” quando al rush finale della squadra tedesca l’armo italiano, che era rimasto sempre in testa, contrappone non la grinta di incitamento del timoniere ma il pianto disperato di quest’ultimo, che, preso dallo sconforto molla tutto, urlando “non ce la facciamo più, non ce la facciamo più..” Seconda voga un padovano acquisito, l’istriano Giovanni Piazzi, vissuto a Padova dopo la guerra, per oltre 30 anni.